Sono alla fiaccolata organizzata dalla comunità cinese.
La sensazione è indescrivibile, ci sono centinaia di persone, quasi tutti sono cinesi. C'è un ragazzo nero e una cinquantina di italiani. Siamo tutti davanti al magazzino. Ci sono così tante persone che non vedo niente, qualcuno si sente male, lo soccorrono. Arrivano a decine, con fiori bianchi e rossi, e dei ceri. Mi metto da una parte, mi sento quasi a disagio. Sembra di essere di troppo.
Poi mi accorgo che non è così. Mi accorgo che ci devo essere. Incontro perfino alcuni dei miei ex studenti. Sono felici di vedermi. Una mi prende per mano, mi dà un mazzo di fiori gialli che erano stati messi a disposizione di tutti da un lato, e mi butta tra la folla.
Ci facciamo strada e arriviamo davanti alla porta della fabbrica.
Una ragazza piange disperatamente.
Guardo in alto e vedo i vetri frantumati. Li aveva rotti una delle vittime per cercare di scappare, non ci è riuscito perché le sbarre glielo impedivano. Anche lui è morto carbonizzato.
L'odore è ancora forte e mi prende lo stomaco. Non riesco a non piangere.
Come si può morire così?
Lascio i miei fiori davanti alle 7 foto. C'è un cartello che dice 'Il dolore non ha colore'. L'unica cosa di umano che ho letto in questi giorni. Mi faccio strada tra un centinaio di candeline messe a formare un cuore. Dietro, di lato, il coro delle donne cinesi continua a cantare un lamento.
Torno verso l'esterno. Sono infastidita dalle telecamere e dagli italiani che vogliono farsi intervistare.
Mi chiedo cosa trovino da dire. Si è già detto tutto e niente.
Ripenso alle altre tragedie sul lavoro. E ancora una volta mi offendo, perché qui, a Prato, i giornalisti hanno fermato i parenti delle vittime, chiedendo a qualcuno di 'tradurre', così, come se parlare di questo davanti a una telecamera fosse una cosa da niente. Come se questa donna non avesse diritti, perché non ha voce, non la nostra, e quindi è tutto lecito pur di vendere un servizio. Gli stessi diritti linguistici negati quando le maestre obbligano i genitori a parlare italiano ai propri figli, o l'interprete/mediatrice di turno è una ragazzina ventenne che studia per diventare erborista, ma intanto si guadagna la vita così.
E mentre esco per tornare alla macchina, non riesco a smettere di chiedermi quante persone ancora, lì intorno, a 4 minuti dal mio caldo appartamento, sono in queste condizioni. E quando vivremo in un mondo più umano.
Tremendo, semplicemente tremendo.
RispondiEliminaGrazie della testimonianza, perché almeno nelle tue parole tornano a essere umani e non parole vuote in una notizia sul giornale.
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